Con diciassette ore e quindici minuti di ritardo, gli Aerosmith hanno preso il palco - e se ne sono accorti tutti.
Pioveva leggermente da quasi mezz’ora, al termine del concerto di Carmen Consoli, e gli scongiuri si sprecavano: dopo una prolungata attesa, Steven Tyler (voce e armonica), Joe Perry (chitarra), Brad Whitford (chitarra), Tom Hamilton (basso) e Joey Kramer (batteria) si mostravano al pubblico, ormai molto numeroso, e partivano a razzo con "Toys in the attic", cui seguivano "Love in an elevator" (con lieve citazione di "Lady Madonna" dei Beatles) e "Living on the edge". Il primo trittico era già fulminante: Tyler - Levi’s lacerati, camicia multicolor con le Marilyn di Warhol e canotta nera con logo della band - era ovunque e, soprattutto, la sua voce rasentava la perfezione: potenza e vocalizzi d’alta scuola, cinquant’anni e non sentirli. Il suo degno compare, Mr. Joe "Fuckin’" Perry, si portava sulle spalle tutto il peso del look anni Settanta: cappottino damascato nero, camicia di seta rosa e gilet nero sotto la camicia, una soluzione a strati che l’avrebbe lasciato a torso nudo al termine dello show. Sulle spalle di Brad Whitford, evidentemente, grava invece il peso degli anni e degli stravizi della band: in confronto ai colleghi, un vecchietto. In assetto da ordinanza Tom Hamilton, diligente come al solito, e Joey Kramer, aggressivo e potente.
"Rag doll", il pezzo della resurrezione della fine degli anni Ottanta, sollevava di peso le migliaia di spettatori, molti dei quali giovanissimi e, tra loro, una piccola falange italiana del "Blue army". "Pink", eseguita da un Tyler agghindato in tuba e occhialetti strani e al massimo della sua performance, lanciava Joe Perry: dagli assoli minimali di questo brano prendeva letteralmente la scena con un blues d’autore, "Stop messing around", con lui al microfono (e, sempre!, alla chitarra) e Tyler indiavolato all’armonica a bocca. Per il Toxic Twin silenzioso era anche l’occasione per scusarsi con il pubblico per la mancata esibizione di ieri sera (saltata per pioggia - v. News) e sostenere, che, comunque, "dipende da Dio... Ma non saremmo mai partiti senza suonare qui!".
Per farci digerire l’insostenibile leggerezza di "I don’t want to miss a thing", melensa e inevitabile, gli Aerosmith la infilavano a sandwich tra una "Walk this way" che pare ringiovanire con il tempo e un altro cavallo di battaglia, "Dude (looks like a lady)".
Per i bis la prescelta era "Sweet emotion": non una delle nostre favorite, ma così ledzeppeliniana dal vivo che... che, all’improvviso, si trasformava in "Heartbreaker": Perry e Tyler, al cospetto di uno dei paragoni più scomodi che la storia del rock possa proporre ad una band, si dimostravano degnissimi di Page e Plant e, se possibile, più istrionici. I presenti, uno qualunque di essi, potrebbero confermare che non stiamo bestemmiando...
Se avessero suonato come da previsioni, sarebbero stati i top biller di sabato sera e avrebbero intrattenuto tutti per circa due ore. Con un po’ di fortuna, dopo l’incredibile malasorte di ieri, l’organizzazione riusciva nel recupero da leggenda, prendendosi il rischio di una scena surreale: eppure, a onore del vero, il set accorciato proposto alla luce del giorno serviva a distillare meglio, in soli 70 minuti, l’essenza del rock and roll americano. E, dopo un’esibizione da dieci e lode, gli Aerosmith lasciavano estasiati i presenti e, molto probabilmente, devastati tutti gli artisti destinati a susseguirsi sul palco dopo di loro......
La scaletta:
"Toys in the attic"
"Love in an elevator"
"Living on the edge"
"Rag doll"
"Dream on"
"Misery"
"Stop messing around"
"Walk this way"
"I don’t want to miss a thing"
"Dude (looks like a lady)"
"Sweet emotion"
"Heartbreaker"
Pioveva leggermente da quasi mezz’ora, al termine del concerto di Carmen Consoli, e gli scongiuri si sprecavano: dopo una prolungata attesa, Steven Tyler (voce e armonica), Joe Perry (chitarra), Brad Whitford (chitarra), Tom Hamilton (basso) e Joey Kramer (batteria) si mostravano al pubblico, ormai molto numeroso, e partivano a razzo con "Toys in the attic", cui seguivano "Love in an elevator" (con lieve citazione di "Lady Madonna" dei Beatles) e "Living on the edge". Il primo trittico era già fulminante: Tyler - Levi’s lacerati, camicia multicolor con le Marilyn di Warhol e canotta nera con logo della band - era ovunque e, soprattutto, la sua voce rasentava la perfezione: potenza e vocalizzi d’alta scuola, cinquant’anni e non sentirli. Il suo degno compare, Mr. Joe "Fuckin’" Perry, si portava sulle spalle tutto il peso del look anni Settanta: cappottino damascato nero, camicia di seta rosa e gilet nero sotto la camicia, una soluzione a strati che l’avrebbe lasciato a torso nudo al termine dello show. Sulle spalle di Brad Whitford, evidentemente, grava invece il peso degli anni e degli stravizi della band: in confronto ai colleghi, un vecchietto. In assetto da ordinanza Tom Hamilton, diligente come al solito, e Joey Kramer, aggressivo e potente.
"Rag doll", il pezzo della resurrezione della fine degli anni Ottanta, sollevava di peso le migliaia di spettatori, molti dei quali giovanissimi e, tra loro, una piccola falange italiana del "Blue army". "Pink", eseguita da un Tyler agghindato in tuba e occhialetti strani e al massimo della sua performance, lanciava Joe Perry: dagli assoli minimali di questo brano prendeva letteralmente la scena con un blues d’autore, "Stop messing around", con lui al microfono (e, sempre!, alla chitarra) e Tyler indiavolato all’armonica a bocca. Per il Toxic Twin silenzioso era anche l’occasione per scusarsi con il pubblico per la mancata esibizione di ieri sera (saltata per pioggia - v. News) e sostenere, che, comunque, "dipende da Dio... Ma non saremmo mai partiti senza suonare qui!".
Per farci digerire l’insostenibile leggerezza di "I don’t want to miss a thing", melensa e inevitabile, gli Aerosmith la infilavano a sandwich tra una "Walk this way" che pare ringiovanire con il tempo e un altro cavallo di battaglia, "Dude (looks like a lady)".
Per i bis la prescelta era "Sweet emotion": non una delle nostre favorite, ma così ledzeppeliniana dal vivo che... che, all’improvviso, si trasformava in "Heartbreaker": Perry e Tyler, al cospetto di uno dei paragoni più scomodi che la storia del rock possa proporre ad una band, si dimostravano degnissimi di Page e Plant e, se possibile, più istrionici. I presenti, uno qualunque di essi, potrebbero confermare che non stiamo bestemmiando...
Se avessero suonato come da previsioni, sarebbero stati i top biller di sabato sera e avrebbero intrattenuto tutti per circa due ore. Con un po’ di fortuna, dopo l’incredibile malasorte di ieri, l’organizzazione riusciva nel recupero da leggenda, prendendosi il rischio di una scena surreale: eppure, a onore del vero, il set accorciato proposto alla luce del giorno serviva a distillare meglio, in soli 70 minuti, l’essenza del rock and roll americano. E, dopo un’esibizione da dieci e lode, gli Aerosmith lasciavano estasiati i presenti e, molto probabilmente, devastati tutti gli artisti destinati a susseguirsi sul palco dopo di loro......
La scaletta:
"Toys in the attic"
"Love in an elevator"
"Living on the edge"
"Rag doll"
"Dream on"
"Misery"
"Pink"
"Stop messing around"
"Walk this way"
"I don’t want to miss a thing"
"Dude (looks like a lady)"
"Sweet emotion"
"Heartbreaker"
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